Inauguro il nostro blog pubblicando un articolo di Magda Szabó che in Italia è stato già ospitato sul blog NonSoloProust. E' interessante riproporlo per capire i retroscena di tutti i romanzi della scrittrice e la loro chiave interpretativa.
Nel 1972 Magda Szabó ricevette dalla rivista letteraria Kortárs (Contemporaneo) la richiesta di rispondere alla domanda su quale dei suoi libri la scrittrice ritenesse il più popolare, importante.
Magda Szabó scelse "La notte dell’uccisione del maiale", dicendo:
La Vostra domanda mi ha posto un problema, non tanto per il numero delle mie opere: quale dei miei libri preferiscano i lettori riuscirei a dirlo anche in base agli incontri letterari, ma per dire quale dei miei libri sia stato il più importante, probabilmente si dovrà aspettare la mia morte. La valutazione dei miei romanzi è stata finora modificata già tali e tante volte che vorrei scegliere per l’analisi quello più adatto a rilevare la relazione tra il modello e la realtà e le loro complicate correlazioni: "La notte dell’uccisione del maiale".
[…] "La notte dell’uccisione del maiale" è un requiem per l’uccisione dell’infanzia di mia madre, che doveva crescere in tal modo, in tali circostanze che qualcuno le sbarrava tutte le strade conformi alle sue inclinazioni che conducevano alla libertà. […] La passione inconsueta del romanzo era alimentata dalla rabbia e disperazione che sorgeva in me – già da quando ero molto piccola -, tutte le volte che mia madre parlava dei suoi anni giovanili e della sua famiglia. […] Come su un albo fotografico immaginario, nei miei pensieri si collocano intorno a lei i personaggi, le figure caratteristiche dei suoi diversi ambienti, anche quelli che non avevo mai visto, che non potevo conoscere perché erano morti prima della mia nascita o durante la mia prima infanzia incosciente.
Mi rendevo conto già durante la raffigurazione della zia di mia madre – la zia Klárika de "La notte dell’uccisione del maiale" - che stavo deformandola, la maggior parte dei suoi tratti li ho presi in prestito da una vecchia zitella ossessiva che aveva degli affari commerciali e immobiliari sospetti. La zia di mia madre, Gizella, […] non era semplicemente la ragazza attempatella che torturava mia madre da bambina, che incolpava cosciente-incosciente sua cugina che cresceva accanto a lei ed era tutta uno spirito-umore-bellezza-talento ed emozione perché lei non si era potuta maritare. […] Lei era anche quella che copiava le sue poesie preferite in un album, che prendeva sotto la sua protezione tutti i cani e gatti miserabili, che contemplava con una devozione religiosa le meraviglie della natura ed era capace di orientarsi nel cielo, così che guardavo solo a bocca aperta, sentendo elencare le stelle una dopo l’altra col nome latino e ungherese. Non m’interessava alcuna sua qualità positiva, non perché non le volessi bene, nemmeno lei a me ne voleva, per quello non mi sarei vendicata su di lei così come sa fare soltanto uno scrittore: eternando la sua figura magra, vestita sempre in nero in zia Klárika. Non riuscivo a perdonarla a causa di mia madre, e rimanevo ogni volta sbalordita quando dovevo sentire che mia madre raccontava queste vecchie cose ridendo o, anche quando le raccontava seria, che parlava senza alcuna collera, poiché aveva già perdonato in tempi remotissimi.
Quasi tutti i personaggi del romanzo sono stati ispirati da qualcuno vissuto un tempo. Gli uomini Kémery del romanzo sono stati modellati con l’aiuto delle storie sentite sugli uomini Jablonczay, la famiglia di mia madre. Il Kémery paralitico era il suocero di mia bisnonna, il Kémery muto era un cugino di mia madre, al quale qualcuno aveva davvero fatto bere la soda caustica. Mia madre fu immortalata nella figura di Veronka, da bambina era esattamente come Veronka nel romanzo. Quante volte maledicevo la strana capacità che fa scrivere a uno scrittore cose che solo nel futuro avrebbero avuto un riscontro reale. Perché mi ha fatto disegnare la figura di Veronka che tossisce? Quando ho scritto "La notte dell’uccisione del maiale", alla fine degli anni cinquanta, dove era ancora quell’asma che l’avrebbe soffocata, che avrebbe causato la sua morte?
Dove ho vissuto io, c’erano uomini che amavano solo una volta e solo una persona in tutta la vita, e c’erano passioni, guerre familiari, inimicizie, odi ai quali poneva termine solo la morte, ogni tanto nemmeno la morte, e si ereditavano.
Il modello del mio János Tóth adorava fino alla morte sua moglie infedele che mai ricambiava l’amore, che lo disprezzava, eche lo beffeggiava ad ogni piè sospinto. I modelli della famiglia di János Tóth non varcavano mai la soglia di Pólika dopo che ebbero capito fino a che punto lei non li considerasse per nulla; al suo funerale entrarono in blocco, si chinarono il più possibile sopra la morta per verificare se davvero fosse sparita dai viventi, poi a testa alta, serenamente e con non nascondendo il sorriso girarono le spalle alla congrega in lutto e uscirono a passi lenti prima dell’inizio della cerimonia.
Volevo bene al modello di János Tóth, gli volevo bene sin da piccola, come tutti, ma sopratutto la moglie e i figli avrebbero dovuto volergli bene, per il suo cuore innocente, per la sua infinita purezza umana. Era un omino grigio, semplice, entrò in parentela con noi attraverso il suo matrimonio ben prima della mia nascita. Il matrimonio si rilevò un fiasco. Era vergognoso come soffrisse fino al giorno della sua morte per i Kémery-Jablonczay, allo stesso modo di mia madre-Veronka. Si sussurava che tra i suoi figli solo uno fosse il suo, il padre dell’altro era il suo amico, il medico, e si sussurrava anche che a casa non sempre riceveva da mangiare, e parole buone proprio mai, solo rimproveri, offese e scherno.
Spesso lo guardavo, lo guardavo e mi meravigliavo di quell’amore che non si incrinava mai, per niente, e poiché io ero una bimba selvaggia, immaginavo innumerevoli volte che se mi avessero trattato allo stesso modo, soprattutto mia moglie, il modello di Pólika, e avessi scoperto pure ciò di cui tutti parlavano ma che solo a me non comunicava nessuno, e avessi dovuto rendermi conto per chi avevo abbandonato la mia vecchia famiglia e mi ero addossato questa nuova, già, io probabilmente avrei ammazzato mia moglie.
Ricostruendo l’infanzia di mia madre era impossibile resuscitare la casa Kémery senza la sua arroganza malvagia e stupida – di quell’arroganza malvagia e stupida era la personificazione Pólika, la moglie di János Tóth. Quando ho scritto "La notte dell’uccisione del maiale", ponderavo e rappresentavo non soltanto i loro contrasti familiari e individuali, ma anche la loro mentalità con cui rispondevano con reazioni diverse agli avvenimenti del paese, incorporando la vicenda in un anno della storia nazionale, in cui le passioni e i confronti si presentavano con una particolare acutezza: il dicembre del 1955, mancavano pochi giorni al 1956. […]
Adoravo mia madre, piangevo più per la sua vita rubata, per i suoi sogni non realizzati (non realizzati? non osava nemmeno formularli!), per il suo talento - non sfruttato, non arrivato fino al successo, e che faceva brillare soltanto per rendermi più felice e arricchita -, che per il più profondo pantano della mia vita. Ne "La notte dell’uccisione del maiale" volevo gridare al posto suo. […]
Magda Szabó, in "Lo scrittore e il modello", articolo apparso la prima volta nella rivista di letteratura contemporanea e critica letteraria Kortárs nel luglio del 1972. Traduzione dall’ungherese di Mónika Szilágyi.
L'illustrazione è un'immagine dello spettacolo "Morso di serpente", versione teatrale scritto da Magda Szabó de "La notte dell'uccisione del maiale". 2014, Sopron, Teatro Petőfi. Foto di Sándor Torma.