Proponiamo questa intervista, apparsa sul settimanale ungherese "168 óra" il 22 aprile 2022, tradotto in italiano da Antonio D'Auria
A Milano esiste una casa editrice, Anfora, che da quasi due decenni è specializzata nella pubblicazione di letteratura ungherese in italiano. La storia di questo profilo in poche parole: in qualità di docente laureata in italiano e ungherese, Mónika Szilágyi insegnava italiano in una scuola superiore di Budapest ma, come ha detto lei, non ha trovato il suo posto, non si sentiva nella sua pelle. Così, quando un suo amico la consigliò al capo di una piccola casa editrice, Alain Lapointe, che cercava un'assistente, salì felicemente su un aereo e prese di colpo la sua decisione.
Da un lato sul lavoro, dall'altro sulla sua vita personale ("Abbiamo avuto la nostra prima discussione martedì e venerdì già sapevamo che ci saremmo sposati."). Il profilo della casa editrice, la psicologia, in quel momento era un dato di fatto, poiché era gestito dalla fondazione della madre del marito, che formava psicoanalisti (la madre, italiana, era emigrata in Canada negli anni Cinquanta, dove divenne una riconosciuta pediatra, psichiatra e analista, per poi tornare a Milano con il figlio di allora di 4 anni).
Questa era la solida base, che l'editore avrebbe voluto ampliare con delle opere letterarie. Sognava una casa editrice di alto livello diretta a persone colte, per la quale cercava scrittori di buon nome, ma a quel tempo non ancora appartenenti alla corrente principale. Tuttavia, a causa della mancanza di pratiche editoriali, questi progetti fallirono nel giro di qualche settimana. Da qui, Mónika Szilágyi continua la loro storia.
Finché nel 2003 camminavamo lungo Rákóczi út, fermandoci davanti alle librerie. È stato allora che mi sono resa conto di quanti autori conoscevo tra quelli i cui libri in vetrina catturavano la mia attenzione. Ascolta - ho detto a mio marito - se la casa editrice non è riuscita a iniziare con quelli che avresti voluto, ti metto in contatto con gli autori ungheresi, pubblicheremo la letteratura ungherese e dell'Europa Centrale. Questo è successo un anno prima dell'allargamento dell'Unione Europea, ho pensato che fosse anche uno splendido modo per presentare agli italiani i nuovi paesi dell'Unione. Due settimane dopo tornammo a Milano, in possesso dei contratti già conclusi; raggiungemmo un accordo con Pál Békés, con Lajos Grendel, col successore legale di Milán Füst (la Fondazione a lui dedicata) e con Imre Oravecz, mentre un anno dopo riuscimmo anche a firmare un contratto con Magda Szabó. Entrambi iniziammo a imparare la professione da zero. Oggi sorrido alla me stessa di allora.
Il libro usciva dalla stampa, lo mandavamo al distributore, quindi procedevo a imbustare le copie omaggio accompagnate da una lettera e le inviavo alla redazioni dei giornali.
Più tardi, ovviamente, mi resi conto che questo da solo non bastava, bisognava costruire relazioni. Ma qualcuno lesse la copia per la stampa arrivata per posta, ne scrisse, e in seguito mi accorsi che era stata pubblicata una recensione dei romanzi brevi di Milán Füst.
Un'altra volta Gian Paolo Serino mi chiamò, si presentò, mi disse di aver notato "Abigail" di Magda Szabó nella libreria Feltrinelli accanto al Duomo e ne scrisse su uno dei più grandi giornali nazionali, La Repubblica. Così partimmo da zero, ma poi gli addetti ai lavori cominciarono a fidarsi della casa editrice, e per noi si aprirono sempre più porte. È successo da poco che il nostro ultimo volume, "1945 e altri racconti" di Gábor T. Szántó, sia stato recensito sul Corriere della Sera di Firenze. In seguito, il giornalista Simone Innocenti (che è anche scrittore, cosa molto comune tra i giornalisti culturali) ci ha chiamato per dirci che si era accorto di noi quando era stato pubblicato in Italia il libro di Imre Oravecz "Settembre 1972", e da allora il nome della casa editrice era diventato una garanzia per lui. Un altro famoso scrittore, Alessandro Zaccuri, ha recensito Anna Édes di Kosztolányi nel suo Avvenire, da allora è diventato anche un grande appassionato di Magda Szabó e ha scritto una bellissima prefazione alla nuova edizione di Abigail, che sarà pubblicata a breve
Su quali premesse potevate basarvi? Del resto, opere letterarie ungheresi erano state precedentemente pubblicate in italiano, l'esperienza dell'infanzia di diverse generazioni era "I ragazzi della via Pál" di Ferenc Molnár e "Il viaggiatore e il chiaro di luna" di Antal Szerb può essere letto in italiano...
Quando sono arrivata in Italia, nei primi anni 2000, la traduzione di opere ungheresi era già in declino. La casa editrice "Edizioni e/o" aveva pubblicato autori ungheresi tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90, ma poi ha smesso. Ricordo che nel 2003 regalai a mio marito "La storia di mia moglie" di Milan Füst, pubblicato da Adelphi. Lo stesso editore pubblicò anche Márai, quando l'autore divenne improvvisamente popolare in Europa. I lettori italiani più colti conoscono Márai, Magda Szabó e certamente il grande favorito, "I ragazzi della via Pál", pubblicato in diverse traduzioni. Ma questi libri non sono stati raccolti in nessun modo, quindi sembra che poco sia stato tradotto dall'ungherese all'italiano. Ho pensato che Anfora potesse anche aiutarci a raccogliere sistematicamente il meglio delle opere pubblicate.
Era previsto che Anfora fosse un editore di letteratura ungherese e dell'Europa centrale, ma attualmente pubblica principalmente opere ungheresi.
Quando abbiamo iniziato nei primi anni 2000, abbiamo pubblicato gli slovacchi come Pavel Vilikovsky, il serbo Svetislav Basara, i rumeni Ana Blandina e Anatol E. Baconsky. Inoltre, grazie alla mediazione dell'Istituto Austriaco, abbiamo pubblicato anche Paul Lendvai, che è originario dell'Ungheria ma vive in Austria e che non scrive narrativa. È stata l'unica eccezione, resteremo editori di letteratura, perché è così che ci conoscono nel settore.
In base a cosa decidete quali opere vengono tradotte e pubblicate in italiano?
Adesso che conosco il pubblico italiano, faccio attenzione anche a quale libro penso possa piacere anche agli italiani, ma la scelta riflette essenzialmente il mio gusto. "Anna Édes" di Kosztolányi ci interessava da molto tempo, poi nel 2012 arrivò improvvisamente l'occasione di farlo tradurre e pubblicare, poiché nel 2010 uscì in Ungheria l'edizione critica curata da András Veres. Va sempre a finire male quando qualcun altro prova a convincermi a pubblicare un libro. In una grande casa editrice i compiti sono divisi: la stampa, la redazione, l'editore, ognuno fa il suo lavoro. Nella nostra piccola casa editrice sono io che devo proporre il libro ai giornali, e non mi piace mentire. Dicono che mi occupo di Anfora con passione, ma in realtà non sono appassionata, faccio solo il mio lavoro e sono onesta. Ogni libro è figlio mio, ho persino scattato una foto in cui tengo in grembo "Anna Édes" appena pubblicata come in fasce.
Si possono pubblicare dei capolavori, ma se nessuno richiama l'attenzione su di essi, non raggiungeranno mai il pubblico.
Va fornita una chiave interpretativa ai lettori italiani, ma ancor prima ai giornalisti che sono laureati in inglese, tedesco o eventualmente francese, e che non hanno familiarità con la cultura ungherese. Nella seconda edizione di "Abigail" ho inserito l'ottimo saggio omonimo dell'autrice, che aiuta molto, soprattutto un lettore straniero, a capire l'opera. Forse si deve anche a questo, che il romanzo è una lettura di storia consigliata per la terza media (che in Ungheria corrisponde alla ottava elementare). Come pure è necessario trovare l'autore italiano più adeguato allo stile del libro e più gli sia affine. Ad esempio, la prefazione a"Il gatto d'argento" di Miklós György Száraz è stata scritta da Claudio Morandini, che si sta facendo strada nel mondo, è stato tradotto in diverse lingue ed è ora pubblicato da un'importante casa editrice, Bompiani. Quando gli scrittori italiani entrano in tale "intimo contatto" con gli autori e i libri ungheresi, è una pubblicità molto più grande che riempire le vetrine delle librerie con le opere. Se l'autore contemporaneo è anche un buon "interprete" e "gira" con il suo libro, la risonanza della stampa aumenta. Fu così che all'epoca Magda Szabó, da meravigliosa oratrice, convinse il pubblico dei lettori in pochissimo tempo. E adesso, Gábor T. Szántó sta rilasciando una serie di fantastiche interviste e la campagna per il suo libro non è ancora finita.
Quali saranno i prossimi volumi?
Ho già citato "Il gatto d'argento" e stiamo anche lavorando al libro dal titolo "Donna al fronte" di Alaine Polcz. E poi le nuove edizioni: anche "Abigail" e "Per Elisa" sono esauriti ma adesso le pubblicheremo con una nuova prefazione. (La prefazione per "Abigail" è stata scritta da Alessandro Zaccuri, quella di "Per Elisa" da Simonetta Sciandivasci, giornalista culturale de "La Stampa").
In un modo o nell'altro, può togliere molto al successo di un capolavoro se la traduzione non è capace di "riportare" lo stile. È difficile trovare un buon traduttore?
Non ci sono revisori nell'editoria italiana, se arriva la traduzione possiamo solo fidarci completamente che il testo sia stato tradotto in maniera corretta, controlliamo solo "l'italianità". È anche la mia opinione, ma mi riferisco ad un esperto. Lo storico letterario Armando Nuzzo scrive che in Italia c'è una tale cattiva abitudine del "trionfo del mezzoforte", nel cui nome la traduzione viene "appiattita" diventando un testo standard, che tutte le opere tradotte "suonano" allo stesso modo, indipendentemente da chi sia l'autore. Il traduttore deve conoscere molto bene entrambe le lingue, ma l'italiano deve essere conosciuto meglio. Se non traduce un madrelingua italiano, il lavoro diventa molto più difficile, c'è bisogno anche di un buon redattore e anche allora non è certo che funzionerà. Ecco perché è meglio un traduttore madrelingua italiano. Non esiste una persona bilingue e ugualmente forte in entrambe le lingue. Vera Gheno, ad esempio, è un'ottima traduttrice. Da una parte conosce molto bene l'ungherese, poiché sua madre è ungherese, quindi è bilingue, ma la sua lingua più forte è l'italiano. Dall'altra, Vera è una sociolinguista riconosciuta, sicché oltre alle competenze linguistiche e al talento, possiede anche un retroterra teorico.
Le traduzioni più vecchie resisteranno alla prova del tempo o i libri dovranno essere tradotti di nuovo?
Sceglie il caso. Un altro problema è che molte opere ungheresi, tradotte bene o male, sono state già pubblicate in Italia ma nessuno se ne è accorto. Non è stato neppure onorato il deposito legale. Uno dei miei progetti a lungo termine è di salvare quelle degne fra queste "edizioni pirata", sia con una ristampa che organizzandole in un bel catalogo.
La situazione non è resa più facile dal fatto che i traduttori non sono pagati bene neppure in Italia.
Comprendo le lamentele dei traduttori, ma in qualità di editrice, lasciatemi esprimere la mia di lamentela. Occorre impiegare molte più energie nella promozione di un'opera ungherese rispetto a un autore americano o inglese, ed è molto più difficile trovare qualcuno che la confronti con l'originale. Per non parlare del fatto che probabilmente sarà possibile venderne meno copie. Non è nemmeno una garanzia che raggiunga il lettore se pubblicato da un grande e noto editore; ci sono stati già esempi nella letteratura ungherese, dove non appena le opere venivano pubblicate, sparivano immediatamente dalla vista, senza ricezione alcuna. Non solo bisogna pubblicare in italiano, bisogna anche "pubblicare bene". Perciò ripeto quanto sia importante non solo instaurare relazioni personali, ma anche aiutare il lettore nella comprensione di un'opera. Ad esempio, mi piace corredare il testo con note a piè di pagina. Non esagero, perché queste non sono note in stile scientifico, ma quando è necessario ne faccio uso.
In Ungheria si ripete sempre più spesso che le note a piè di pagina in un'opera letteraria scoraggiano soltanto il lettore. Non è più facile guardare le informazioni su internet con l'aiuto del proprio cellulare?
Da un lato ciò devierebbe il lettore immerso nel mondo del libro, dall'altro si possono cercare nomi e date storiche, ad esempio, ma non connessioni più nascoste. Nell'edizione italiana di "Per Elisa" da noi pubblicata ci sono 135 note a piè di pagina. Perché altrimenti, chi si accorgerebbe che è pieno di citazioni di Dániel Berzsenyi, che i titoli di quattro capitoli sono presi in prestito dall'Orazio ungherese (Berzsenyi), e nell'ultimo capitolo tutte le citazioni portano ad un'ode di Orazio (Carmina, II, 20) in cui il poeta si rivolge a Mecenate dicendo: "io morirò presto, ma non rimarrò morto a lungo, prenderò la forma di un cigno (animale sacro ad Apollo) e salirò al cielo, al di sopra del mio popolo invidioso e in ogni angolo del mondo leggeranno le mie poesie, sarà conosciuto il mio nome". E tutto questo lo scriveva Magda Szabó nel suo ultimo romanzo, all'età di 85 anni. C'è un messaggio celato nel romanzo: "miei cari, adesso posso essere fuori dai canoni della letteratura ungherese, ma avrò vita eterna grazie alle mie opere". (E ha avuto ragione.)
Allora qual è la chiave perché un'opera sia recepita? Sarebbe bello se conoscessi la risposta esatta, ma di sicuro una buona traduzione, un libro ben curato, note a piè di pagina e una buona promozione. Tutto questo aiuta.
In che misura l'accoglienza italiana, le opinioni di lettori, critici e giornalisti italiani hanno contribuito a farti vedere le opere da un'altra prospettiva, diversa dal canone letterario ungherese?
Sono rimasta sorpresa dal fatto che, secondo il senso comune, la letteratura ungherese sia malinconica e triste - forse hanno proiettato sui libri l'atmosfera di alcuni dei film ungheresi distribuiti lì. Voglio distruggere questa credenza. Diciamo che Kosztolányi non scriveva neppure commedie, ma aveva il suo stile umoristico e ironico che piace molto agli italiani, che si ravvedono su quanto la letteratura ungherese non sia "seria" come pensavano. D'altra parte, le recensioni italiane mi aiutano a fare attenzione a cose che prima non notavo. I critici italiani erano indignati dal fatto che Abigail fosse classificato come un romanzo per giovani adulti. È invece considerato un romanzo di formazione. Viene paragonato a "Jane Eyre" di Charlotte Brontë, ma per lo più dicono: "Per ragazzi?! Libro per tutti, secondo me. Francamente non capisco." Romanzo per ragazzi?! Penso sia più per tutti. O, ad esempio, quando Simonetta Sciandvasci ha scritto di "Per Elisa", che non è solo un'autobiografia, ma il romanzo più importante dell'Ungheria tra le due guerre, e forse dell'intera Europa, "sul confine e l'identità e sulla relazione dell'uno con l'altra. È bello pensare che Magda Szabó avvertisse l'importanza di testimoniare quando si comprende che esistiamo nel rapporto con gli altri più che in quello reciproco con gli eventi e la provenienza". È una grande sorpresa per me leggere queste cose. È un gran dono poter guardare la letteratura ungherese dall'esterno.
Intervista fatta da Katalin Dorogi
Traduzione di Antonio D'Auria
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